Don Jiggy (Nyame Bismarck Samuel Junior), nato a Napoli il 22/12/87, è un ragazzo di origini africane. Ha scoperto la musica in Ghana (madre terra), il 6 ottobre del 1999 la famiglia di Don si trasferisce in Ghana, dove il piccolo Jiggy per la prima volta conosce le sue origini e la sua cultura. Nell’ agosto del 2012, Don torna in Italia per trovare un’opportunità nel mondo della musica italiana, nel 2015 Don incontra Joel (pianista della band), assieme mettono in piedi uno studio registrazioni che permette a Jiggy di iniziare i suoi progetti musicali da solista. Poi, si incontra con Leslie, Alberto e David, decidono assieme di creare una Band, Soul System, che il 16-12-2016 diventa la band vincitrice della decima edizione di “X Factor Italia”. La loro musica è un concentrato di suoni e ritmi R&B, hip pop, soul e funk, alla quale aggiungono la loro energia ed un groove esplosivo che coinvolge e trascina il pubblico in ogni loro esibizione. La band è composta da 5 elementi: Leslie e Don Jiggy sono i due frontman, rispettivamente voce melodica e rapper del gruppo, Alberto è alla batteria, David al basso e Joel alle tastiere. Il loro singolo d’esordio, “She’s like a star”, ha calcavato la top 5 delle classifiche italiane per mesi, fino a raggiungere la certificazione Oro (25.000 copie vendute). Hanno all’attivo altri 2 singoli (“Liquido” e “White Niggas”) e un album, uscito a settembre 2017, che è entrato nella top 3 della classifica i Tunes nelle prime settimane d’esordio.
Come ti definisci all’interno del gruppo, che ruolo incardini?
“Sono, in arte, Don Jiggy, il nome è Samuel Nyame Bismark jr. Sono uno che ha il soul nell’anima. Non mi definisco il leader, né il solista, ma la voce, the voice. Sono quello che scrive i testi, attraverso i quali cerco di trasmettere quello che vuole far passare il gruppo. Siamo tutti, tranne il batterista Alessandro Patuzzo, che è di Bovolone di Verona, tutti di origini ghanesi, tutti nati tra Brescia e Verona (Joel Ainoo, Leaslie Sackey e David Yeboah). Siamo, in pratica, “White Niggas”, che vuol dire neri bianchi, ma in realtà è un modo per esprimere la volontà di celebrare la diversità e l’abbattimento delle barriere culturali. Infatti, è proprio “White Niggas” il singolo scelto da noi per lanciare l’album “Back to the future””.
E, cosa volete trasmettere in particolare?
“In realtà, noi vogliamo fare musica, vogliamo far capire alla gente quello che sentiamo, cosa proviamo. Noi, essendo della prima generazione, io sono nato nel 1987, il primo nero è venuto in Italia nel 1984, 1985, di origini africane, ma di nazionalità italiana, abbiamo sempre avuto una dubbia identità, e ci piacerebbe far sentire e capire all’Italia più o meno quello che siamo. Perché siamo nuovi italiani, un’altra parte dei cittadini italiani. Vogliamo trasmettere innanzitutto positività, energia – perché quella ci vuole – ed anche divertimento perché siamo “entertainment”, siamo intrattenimento. Abbiamo una fascia di fans che va dai due anni ai 70, nei nostri concerti noti la vecchietta che al nostro ritmo, sulle nostre note si scatena perché trasmettiamo tanto”.
Cosa hai appreso dall’Italia e cosa ti porti dietro dal Ghana?
“Io sono nato in Italia, a Giuliano di Napoli, in Campania, mi sono trasferito a Verona dall’età di 5 anni e ci sono rimasto fino a 12, quando i miei genitori hanno deciso di portarmi in Ghana. E, in Africa ci sono rimasto 12 anni. Dall’Italia ho appreso la prima lingua, i primi valori, il modo di pensare; l’Africa, invece, mi ha insegnato a vivere perché là c’è gente che sorride, c’è gente che è felice con niente, ho imparato i valori fondamentali, l’essere sinceri, la verità, il male, un mondo che ti fa capire proprio le basi della vita. E, combinando queste basi qua, sono riuscito, in poco tempo perché sono rientrato in Italia nel 2012, ho avuto problemi con le carte, mi avevano detto che ero rientrato col visto turistico, però, dopo aver fatto capire la mia storia in Questura, sono riuscito ad arrivare al mio obbiettivo relativamente in fretta”.
Il tuo sogno da bambino era quello di fare il cantante?
“Il mio sogno da bambino era quello di fare il calciatore: ho giocato nell’Alba Borgo Roma (Verona), quando sono tornato in Africa, ho smesso di giocare a calcio perché là ero abituato a giocare a piedi scalzi. In Italia, ho visto che c’era la possibilità di arrivare con la musica, tanti non ci credevano, tanti mi hanno detto “Ma, valà, vai a vendere le cinture, vai a lavorare!”, però, nella mia vita ho preso sempre le decisioni che per la gente erano sbagliate, ho sempre puntato all’obbiettivo, ed è stata, quella vissuta, una bella avventura”.
Sei diplomato al Conservatorio?
“Mio padre in Ghana ha un’impresa edile con tanto di magazzino, possiede dei campi storici ereditati da mio nonno, il quale faceva il sapone con un’azienda tedesca (da qui il mio cognome Bismark), sapone che veniva tratto da questi campi. Avendo queste disponibilità, mio padre mi ha consigliato di fare Ragioneria. Sono finito in banca, dove ho lavorato per sei mesi, poi, ho lavorato per la Vodafone e ho anche fatto, sempre in Ghana, l’attore per la pubblicità. Prendevo bene, percepivo un buon stipendio. Giunto di nuovo in Italia, ho capito che c’era l’opportunità di fare perché a volte noi persone di colore ci creiamo una sorta di razzismo contro noi stessi perché sappiamo che c’è la realtà del razzismo, tirando indietro quando pensi che non puoi farcela per il solo fatto che sono nero, perché in quel posto ci vanno solo quelli, perché ce la fanno solo quelli che sono diversi da te. E, invece, no, le persone devono pensare che oggi c’è per tutti l’opportunità, basta che si vuole fare e basta mettersi di impegno”.
Se hai lasciato un posto sicuro, quello che avresti potuto continuare ad avere in Africa, viene spontaneo dedurre che oggi percepisci un miglior guadagno, o no? “Non era la mia vita restare chiuso in un ufficio di una banca, mi sentivo soffocare. Non svolgo questa nuova attività per diventare ricco, ma per guadagnare quei soldi per stare bene, per poter andare a bere e mangiare qualcosa. La musica, invece, è un lavoro che non è un lavoro, perché se mi chiedessero oggi di andare a cantare adesso, io ci vado volentieri, anche senza soldi, però, alla fine vengo retribuito. Per me, è la strada migliore che potevo fare”.
Quanti concerti fino ad oggi hai fatto?
“Più o meno una settantina in un anno. Nel dicembre 2016 abbiamo finito a “Ics Factor”, nel 2017 abbiamo fatto un tour e ad agosto facciamo un tour in Puglia. Da gennaio ad aprile, senza concerti, non abbiamo preso nessun euro. Il 31 dicembre 2017 eravamo all’Arena di Verona davanti a 25 mila persone, mentre due settimane fa abbiamo riempito (60 mila persone circa) lo stadio di “San Siro” per l’addio di Andrea Pirlo al calcio”. Ci sono dei mesi che non percepisci un euro, ma, per fortuna, poi, ti rifai lavorando in tutti gli altri mesi dell’anno”.
In che ruolo giocavi all’Alba Borgo Roma, da ragazzo?
“Attaccante. Ero tifoso, sì, del Milan, di George Weah (attuale presidente della Liberia), ora sono tifoso juventino, ma penso ancora di cambiare perché mi reputo non un fan dello spettacolo, ma mi vedo come un giocatore, e, quindi, se Dybala passa al Manchester, io simpatizzo per il club inglese”.
Credi in Dio?
“Ovvio, perché la gente non spunta fuori dai muri o dalla terra, però, credo di avere una mentalità molto aperta, non legandomi troppo ai dettami della religione non far questo, non far quest’altro, sono molto aperto a capire tutto. Infatti, mi piace viaggiare, andare alla scoperta di posti nuovi e nuove emozioni, non leggo tanto e so che è una cosa negativa, però, preferisco guardare e capire una situazione o parlarne direttamente con le persone interessate”.
Il più bel complimento ricevuto finora e da chi?
“Sono fiero di te e da mio papà. Mio papà è uno che è sempre stato contrario alla musica, uno che mi ha voluto farmi andare a scuola per studiare. C’è stato un periodo, sotto quest’aspetto, di frizione tra me e lui, ma sono arrivato a stare meglio di quello che pensava lui; anzi, ho portato un orgoglio, nel senso che ci sono tanti ghanesi orgogliosi di quello che stiamo facendo, e siamo i primi neri a fare musica a livello nazionale, siamo i primi neri, dico italiani neri, ad andare al Festival di Sanremo nel 2017. Abbiamo creato un precedente storico, abbiamo creato un nome per noi stessi e mio padre è stato molto fiero di questo nostro successo, di quello che facciamo”.
La cosa che ti dà più fastidio nella vita? Il colore della pelle?
“All’inizio, quand’ero bambino mi dava fastidio. Però, io so quali sono i lati positivi di un uomo nero: tu puoi accoppiarti con una ragazza dalla pelle color bianca, ma il bambino che nasce con la pelle color nera. Ed è questo quello che succede in America: In Finlandia c’è una Presidente donna, nel 2005 hanno cominciato a dare il visto di studiare ai ragazzi africani, hanno cominciato ad accoppiarsi e c’è il rischio che tra 50 anni non troverai più l’uomo finlandese, non esisterà più. E, questo è quello che succederà nel mondo, ed è quello che vogliono fermare, te lo giuro io. Invece, tra 200 anni non troverai un uomo francese, saranno alla fine tutti mulatti, sarà un mix. Per me, l’uomo nero è l’uomo forte, quindi, non mi interessa se a uno non gli va il colore della mia pelle”.
Quand’è stata l’ultima volta che hai provato il dolore?
“Lo stato d’animo del dolore l’ho provato sempre, ma siccome io mi ispiro sempre a Bob Marley – che quando aveva dolore scriveva o cantava per far andare via il dolore -, quindi, poche volte ho pianto per un dolore; ho pianto più volte per un’emozione che mi ha toccato, negativa poche volte, positiva invece di più, perché anche quando l’emozione è negativa io vado avanti a testa alta”.
Quand’è che hai scoperto che questa tua ultima era la strada giusta?
“In realtà, l’ho saputo perché io ho sempre fatto musica anche da solo, ho sempre creduto in quello che ho fatto. Invece, quando mi sono messo con questi ragazzi, dai andiamo a fare due live e guadagniamo una birra e un panino, abbiamo iniziato con 40 euro al giorno una birra e un panino, dal punto di vista musicale le nostre voci si sposavano bene, conciliavano a meraviglia, in più abbiamo iniziato a fare un percorso serio perché da 40 euro abbiamo percepito 100 a testa, fino a 2000-2500 euro, e poi abbiamo fatto “Ics Factor”. Comunque, noi abbiamo sempre suonato principalmente per vivere”.
Il tuo strumento preferito, oltre alla voce?
“Mi piace tanto la chitarra, ma non la so suonare; anche i tamburi e gli strumenti a percussione più piccoli. Anche la batteria”
Ora che sei arrivato, conosciuto, qual è il sogno della tua vita?
“Secondo me, non sono arrivato, perché non si arriva mai. Il sogno della mia vita è quello di romanere sempre me stesso e di conseguenza farlo trasparire dalla mia musica, dalla mia voce e dalle mie parole”.
Fischi, non ne hai mai ricevuti?
“Mai!”
Gli applausi più incandescenti?
“Il concerto meglio riuscito e gli applausi che ricorderò di più li abbiamo ricevuti quando abbiamo vinto la decima edizione di “Ics Factor” nel 2016 ed anche a Torino, in Piazza San Carlo: quello è stato un concerto molto bello. A Roma, anche, all’”Hotel Parco della Musica”, e a Milano, ai “Magazzini Generali”, sempre sold out. Ma, quando canto, esibirmi a Milano o a Torino o a Verona, è la stessa cosa, perché quando sono davanti alle persone vedo tutto come un quadro, le persone sono come un quadro, quindi, non mi concentro su un singolo spettatore o sull’altro, ma mi concentro su un quadro. Se sono più, per esempio, di 50-60 persone, tipo 15 mila o 60 mila, vedo un quadro più grande”.
Quando ti è venuta l’ispirazione di dare il nome di Soul System alla tua band?
“Sono sto io, ricordo alle 3 di notte di un giorno di gennaio del 2016. Ho ritenuto di coniare questo nome per come la gente reagiva ai nostri live, esibendosi in posti con gente composta, però, alla fine, ho penato che noi facciamo un tipo, un Sistema, di musica che tocca l’anima. Il Soul System è il Sistema dell’anima. Quindi, quando noi suoniamo, la nostra musica ti tocca per forza, indistintamente, inevitabilmente”.
Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it (9 giugno 2018)