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sabato, 23 Novembre 2024
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INCONTRI RAVVICINATI: SERGIO CLERICI

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Ha da anni riposto nel fondino il revolver tipico del bomber d’area, ma, è sempre pronto a sfoderarti il sorriso disarmante, quello che gli fa, alla vigilia delle 78 primavere (il 25 maggio: è nato nel 1941), accendere gli occhi per il suo primo ed unico grande amore, assieme alla famiglia, alla moglie e ai tre figli, “el fubal”. Lo incontriamo a Verona, a due passi dal “Mario Gavagnin-Sinibaldo Nocini”, altro tempio del calcio, e l’incontro ce l’ha acceso Emanuela Cantù, presidentessa ieri dell’A.C. Zevio, oggi sempre effervescente team manager dell’A.C. Oppeano (il padre era il più caro amico a Verona del Gringo). Corriamo subito incontro a uno dei più solidi fisicamente e più veri, dal punto di vista morale, “puntero” degli anni 70-80: il Napoli di Ferlaino e di mister Luis Vinicio, detto “‘O Lione” lo ha avuto in prima linea, e lo cedette al Bologna in cambio di Beppe Savoldi, in cambio di un miliardo e 400 milioni di vecchie lire e la comproprietà del centrocampista Rampanti (ex Toro), che all’epoca fece scalpore, ma, che non fruttò all’ombra del Vesuvio le scintille, i lapilli, il magma continuo voluto. E, che fece imbufalire lo stesso Clerici, in riposo estivo nella sua San Paolo do Brasìl, innamorato più dei partenopei che dei felsinei rosso e blu emiliani.

Un signore del calcio, il brasiliano, sempre con la pelota incollata ad entrambi i piedi, così come ancora oggi con la sigaretta: dopo i 18 anni di carriera in italia, ha intrapreso l’avventura di mister, guidando il Palmeiras, il prestigiosissimo Santos di Pelè, e l’Inter de Limeira. Dove è stato, è sempre stato apprezzato come professionista serio, legato ai valori della famiglia. Dopo il Lecco, ecco l’anno del Bologna, il successivo all’Atalanta, l’Hellas Verona (dal 1969 al 1971, 18 centri in 54 sfide), la Fiorentina (1971-73, 20 gol in 52 incontri), il grande balzo al Napoli (1973-75, 29 reti in 59 gare), il ritorno per altre due stagioni (dal 1975 al 1977, e 15 gol in 53 presenze) a Bologna, infine, la Lazio (campionato 1977-78). “Fui notato, ragazzino, e con la casacca della Portuguesa Santista, da osservatori italiani, e finii al Lecco del presidente Eugenio Ceppi (oggi, al vecchio dirigente è stato cointestato, assieme a quello di Rigamonti, lo stadio dei bianco-celesti, ndr). Che mi adottò come un figlio e con cui ho vinto la classifica dei cannonieri. Ma, chi stravedeva per me era Nils Liedholm: una volta volle a tutti i costi farmi giocare anche se ero malconcio. Per convincermi mi accompagnò anche da una cartomante, la quale attraverso le carte mi dichiarava che dovevo giocare. E, feci il gol della vittoria contro la Lazio…”.

Perché ti chiamavano Gringo?
“Dopo un pò di tempo che ero a Lecco, andavano di moda in quel tempo i film sul Far West, ed io, essendo uno dei punti di forza dell’attacco, mi appiccicarono questo soprannome. Mi ha sempre portato bene e dovunque sono stato mi hanno chiamato così, e mi faceva piacere. Sì, un “pistolero delle aree di rigori avversarie””.

La tua infanzia in Brasile, come è stata?
“A casa mia non mancava niente, studiavo, ma un pò per fare provini ho lasciato lì gli studi. Sono arrivato fino al Ginnasio, poi, per colpa del calcio ho lasciato lì. Sono cresciuto nel Nacional, poi, nella Portuguesa, ho passato il provino, e dopo averlo superato, sono rimasto lì”.

Il Lecco… “Giocavo nel Palmeirsa, e contemporaneamente facevo il servizio militare. La fortuna ha voluto che il mio comandante era un allenatore: mi fece giocare contro il Santos di Pelè, e in tribuna c’era un osservatore del Lecco a guardarmi. Mia madre era della provincia di Siena, di Castelnuovo, il Lecco mi disse di sì, e io a 18 anni ero già in Italia”.

Quali sono i tuoi gol, il più stilisticamente bello e quello più importante, più pesante? “Giovedì si giocava, in Coppa Uefa, contro il Victoria Setubal, ero nella Fiorentina, ma in Fiorentina-Milan mi avevo fatto uno strappo, ma il mister voleva che andassi in campo anche con una gamba sola. Liedholm mi ha portato da una cartomante, che mi convinse a scendere in campo contro il Napoli. Sabato pomeriggio, Liedholm mi porta da chi applica l’ago puntura, ma, non stavo bene. Ho giocato e ho fatto un gol alla grande: ho preso il pallone a centrocampo, poi mi sono involato sulla sinistra, mi si è fatto incontro Schnellinger, gli feci la finta di crossare, la palla passò sotto la sua gamba mezza levata e andai dritto in porta con la sfera. Ho continuato la partita e il nostro terzino sinistro ha fatto il 2 a 0. Finito il primo tempo, dico a Liedholm che non ce la facevo più a continuare nella ripresa: “No, tu stai davanti, perché anche se non ti muovi, almeno tieni occupati due avversari!” Giocai”.

Il gol più importante?
“Col Napoli. Allora, chi segnava alla fine, si diceva che realizzava nella zona Cesarini: io segnai a qualche minuto alla fine, in Napoli-Fiorentina, e così cominciaromo a dire zona-Clerici. La gara stava finendo, e in conclusione feci il gol del pari in quel Fiorentina-Napoli, proprio allo scadere del tempo. Lottammo fino all’ultimo per lo scudetto, vinto poi dalla Juventus”.

In quella nazionale carioca, chi giocava nel tuo ruolo, allora?
“Non so dirti. Ho fatto la Nazionale di San Paulo Junior”.

Verona, il primo ricordo che ti viene in mente in riva all’Adige?
“Il Verona in quel periodo era una squadra abbastanza forte, mai in zona retrocessione. Mascetti veniva dal Torino, Ferrari e Sirena dalla Roma, si poteva perdere, certo, ma la domenica successiva si vinceva”.

Un gol particolare al “Bentegodi”?
“Sì, di mano: un cross venuto dalla sinistra, forse, di capitan Sirena, Ranghino giocava a destra, il pallone era basso, io mi sono tuffato, non riuscivo a deviarlo di testa, così l’ho fatto con la mano, l’arbitro non l’ho ha visto. Mister? Non Giancarlo Cadè, ma il romagnolo Renato Lucchi, gran brava persona”.

Un’altra “perla” del Gringo?
“Io col Napoli, contro la Juventus: riesco a sfuggire alla rovente marcatura di Giorgio Morini e batto di sinistro Dino Zoff. Morini, già, è stato il mio marcatore più implacabile, il più duro: ci rifilavamo di quelle botte che non ti dico!”

Un rigore clamorosamente fallito?
“In Napoli – Lazio, con la casacca dei partenopei, ho calciato il rigore del possibile 1 a 1 sul palo”.

Ma, perché non sei mai stato nella “troika” più prestigiosa italiana (Juve-Milan-Inter)? “El “paròn” Nereo Rocco aveva fatto le carte false per avermi in rosso e nero, ma a Lecco il mio presidente Mario Ceppi non mi volle mollare. Mi ha voluto bene come un figlio (come fece il cavalier Angelo Moratti con Mariolino Corso all’Inter) perché ero giovane. Dopo 6 anni che ero a Lecco, si è presentato il Bologna, e solo pregandolo di lasciarmi andare, acconsentì”.

Perchè la Juventus non riesce a vincere dal 1994 in Champion’s League? “La Juve non ha ancora la squadra per vincere la Champion: la Juventus, guardando le partite chiave, non fa paura agli avversari, rimane lì, cercando di vincere di misura o di strappare il pareggio. Non è offensivista la Juve di Allegri come il Barcellona”.

Quale giocatore ti potrebbe assomigliare?
“Batistuta: perchè andava dentro senza paura, come me. Quando avevo il pallone tra i piedi, io lo lavoravo bene. Era difficile strapparmela la palla. Da ragazzo giocava con me nel Napoli Braglia, un ragazzo che venne alla Fiorentina: io spesso scendevo sulle fasce laterali per scodellargli traversoni in area, e lui, al primo anno sotto il Vesuvio, segnò 14 gol contro i miei 12. Perché lui più gol di me? Perché io, giocando sulle fasce, gli dosavo i traversoni per le sue conclusioni. Il secondo anno, a Napoli, io feci 15 gol, lui 11 o 12 gol. Lui, poi, passò dal Napoli al Milan, non c’era più Clerici, ma ha fatto bene ugualmente”.

Il più grande giocatore della tua epoca?
“Rivera, era bravo, aveva una tecnica stupenda. L’attaccante invece, Gigi Riva, con la palla sul suo sinistro era sempre gol: aveva una cartella pazzesca. E’ stato uno dei più forti incontrati. Il difensore più tosto? Morini della Juve. Era sempre botta contro botta tra me e lui: gli scontri sprigionavano scintille, era cattivo, mi ha fatto male diverse volte; però, a fine gara, lui era più malconcio di me. Io alla Juve ho fatto sempre gol”.

E, la Juve di Omar Sivori?
“Era un altro Messi, Omar, fortissimo!”

Centravanti fin da piccolo, o inizialmente portiere poi convertitosi alla prima linea? “Sì, fin da bambino, dove ho cominciato fare gol”.

Europei e Mondiali…cosa prevedi?
“Non credo più alla Francia, ma alla Spagna. Però, vorrei vedere di più l’Italia. Però, in Italia si sbaglia nel dare in campionato troppo spazio agli stranieri, ce ne sono al massimo 6-7 di italiani in una “rosa” di 22-24 in un club. Continuando su questa strada, non vai mica tanto lontano”.

La telefonata di Garonzi con Clerici?
“Pensavo che a Verona, dopo quella telefonata, mi odiassero i tifosi veronesi, invece, no, mai è affiorato rancore nei miei confronti, ma solo stima ed affetto”.

Come andarano esattamente i fatti?
“Eravamo in ritiro al Grand Hotel di Verona: quella della reception mi avvisa che c’è al telefono il signor Garonzi: ero allora nel Napoli, prima ero stato al Verona, ero un suo ex, Garonzi era il mio presidente. Lì, nel salottino, a sentire questo i giocatori del Napoli ed alcuni giornalisti. Io avevo chiesto un favore a Garonzi, di aprire una Concessionaria Fiat in Brasile, non ancora insidiata da noi. Di calcio non abbiamo parlato, ma solo di lavoro. E’ venuta fuori la storia il giorno dopo la gara Verona-Napoli, gara in cui ero stato il migliore in campo, l’avevo cercato e lui mi ha richiamato. Il Giudice della Caf Corrado De Biase mi convocò a Coverciano e volle sapere tutto, la verità di questa telefonata: riferii che io avevo parlato al telefono della Concessionaria, che era mia intenzione aprirla in Brasile. Lo chiamai più volte, lui intese richiamarmi prima della gara col Napoli, ma non si parlò mai dell’ipotesi di un aggiustamento della gara. Hanno chiamato a rispondere anche Saverio Garonzi, ma lui ha sempre negato di avermi chiamato, sottolineando così indirettamente il torto, perché di testimoni a provare la telefonata ce n’erano tantissimi, giocatori e giornalisti. Avesse Garonzi detto di sì, la cosa non sarebbe finita in quei termini tragici per l’Hellas: si sarebbe conclusa lì e basta! Mi è dispiaciuto tantissimo vedere il mio Verona retrocedere in serie B, e in quel modo”.

Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it

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