Luciano Moggi, il direttore generale dell’F.C. Juventus, arriva al casello autostradale di Verona Sud alle 20.30 circa.
Un incidente all’altezza di Piacenza, costringe l’autista della lussuosa Mercedes nera, il responsabile degli osservatori dei bianconeri, Francesco Ceravolo, a spingere sull’acceleratore per recuperare tempo e terreno e per farsi guidare poi dall’ex Consigliere Tecnico a livello mondiale (dall’Ucraina al Brasile) della Juventus, il prof. Romano Mattè, veronese e promotore dell’incontro del d.g. juventino e gli studenti della Facoltà di Scienze Motorie di via Casorati di Verona e “benedetto” dal prof. Alessandro Albrizi.
Ad attendere l’arrivo dell’”uomo di Monticiano di Siena” (nato il 10 luglio 1937), la redazione del sito www.pianeta-calcio.it e l’ex diesse di Avellino, Bologna, Catania, Pistoiese, Catanzaro, Salernitana, Arezzo e Modena, Ferruccio Recchia da Buttapietra.
Amico, il Recchia, anche lui di Moggi, e compagno di 37 calcio mercati, e fiero, il Recchia, scopritore di quel Luca Toni da Pavullo di Modena, che il dirigente veronese propose come trasferimento dal suo Modena all’Empoli di Fabrizio Lucchesi (allora diesse empolese e poi di Roma e Fiorentina).
L’abbraccio tra Mattè, Moggi e Recchia è di quelli sinceri: il “re del mercato italiano”, Luciano Moggi, scherza con i due, trovandoli in forma, come ai vecchi tempi, quando l’ex capostazione di Civitavecchia – Moggi, appunto – iniziava la sua carriera come osservatore giovanile della “Vecchia Signora”.
Giacca nera, camicia bianca, sorriso che affiora appena dalle labbra, Moggi è in rigido silenzio-stampa, ricordatogli dal vicino e compagno di viaggio, nonché manager della Comunicazione e della Sala Stampa dell’F.C. Juventus, il giovane e aitante dottor Alessio Secco, laureato in Scienze Politiche, e figlio di quella grandissima persona che risponde al nome di Enrico (amico dell’allora presidente della neo-promossa in serie D Virtus Borgo Venezia, il cardiologo e fondatore dell’Istituto di Medicina dello Sport di Verona e docente all’Isef scaligero, prof. Sinibaldo Nocini).
Ma, noi di pianeta-calcio.it, Moggi ringrazia per avergli tributato un forte e sincero applauso, dopo che ci ha confidato prima al casello e poi agli studenti isefini di essere orgoglioso di essere stato “allievo” del comm. Italo Allodi, il vero “artefice-demiurgo” del “Piccolo Brasile” Mantova di Mondino Fabbri (il cittì della sciagurata Nazionale azzurra del 1966 in Inghilterra, che portò i virgiliani dalla serie D in A in 6 stagioni, alla fine degli anni 50), dell’Inter di Angelo Moratti diventata sotto di lui Internazionale per gli scudetti e le Coppe vinte nel mondo, della Juventus degli Agnelli, della Fiorentina del conte Flavio Pontello e dell’arrivo a Napoli di Maradona, con interfici posti (l’ha confidato lo stesso Allodi in un’intervista rilasciata il 20 dicembre 1998 a noi pochi mesi prima di andarsene per sempre) dalla “bandiera” partenopea Antonio Juliano.
Luciano Moggi ringrazia con quell’umiltà che ormai gli riconosciamo da anni – è molto sensibile nei confronti di chi soffre (l’abbiamo provato noi stessi 4 anni fa nel ritiro bianco nero di Affi, il 21 gennaio 2001, prima di Chievo-Juventus=0-3), ed è inevitabilmente diventato “antipatico” da quando, entrando nella Juve, ha vinto scudetti; inevitabile destino di chi – il vincitore – non è più simpatico quando trionfa) – e ringrazia pure Luciano Moggi chi – la redazione di pianeta-calcio.it – gli fa scoprire che il grande, impareggiabile Italo Allodi, il “gentleman dei managers italiani; ed europei”, era nato ad Asiago di Vicenza.
“Ah” commenta Moggi con un certo stupore, una certa gioia conoscitiva e una certa predilezione informativa “questo non lo sapevo”.
“Non si crucci, direttore” replichiamo ancora noi del sito “sono in tanti ad aver attribuito al grande, splendido e generoso (in una parola “gentleman”) Allodi patrie e natali diversi (Parma, dove ha finito di giocare, Annone Veneto, Casarza della Delizia, Rovereto, ecc…): era solo un dettaglio, perchè tutti sanno quanto Allodi ha lavorato per rifondare “l’Università del calcio italiano” di Coverciano e lanciare i Corsi Masters, vivendo a Firenze – in via San Domenico, 53 (sulle splendide colline di Fiesole con la moglie Franca, conosciuta a Mantova, e il figlio Cristiano, osservatore dell’Inter del dottore Massimo Moratti, nato a Boscochiesanuova di Verona, il 16-5-1945) – ; e, svernando nella sua incantevole villa a San Remo”.
Poi, la fuga verso borgo Venezia e la Facoltà di Scienze Motorie di via Casorati, dove ad attenderlo c’erano un centinaio di attenti studenti, futuri dottori in Scienze Motorie; presentato dal presidente regionale della Stampa Sportiva, il veronese dottor Alberto Nuvolari.
Moggi ha detto – non scoprendo certo l’acqua calda – che le società professionistiche devono essere gestite come grandi aziende:
“E’ impensabile” ha detto “far finta di non fare i conti con i bilanci e gli enormi costi di gestione che un grande Club oggi comporta.
Ci vuole organizzazione, documentazione, managerialità, approfondimento, aggiornamento continuo perchè è un attimo andare sott’acqua”.
Il direttore generale bianco nero ha ricordato di aver iniziato dal settore giovanile e di aver fatto tutti i gradini dell’esperienza, prima di arrivare all’F.C. Juventus nel 1994.
“Un diesse” ha continuato il senese Moggi “oggi deve controllare nel giocatore la carta d’identità, conoscere bene il suo curriculum non solo sportivo ma sanitario, e, poi, farsi il segno della croce… e giù una risata sua e del pubblico”.
Un consiglio, spassionato, l’ha regalato ai giovani universitari veronesi:
“Difficile è arrivare in cima a una qualsivoglia carriera, altrettanto difficile mantenersi come manager, giocatore, allenatore, dirigente, diesse, genitore.
Il giocatore forte è colui che è equidistante dal fischio e dall’applauso; colui che mantiene la stessa forza di carattere anche nei momenti di disperazione, di incontenibile gioia, di crisi non solo di risultati o di gruppo, ma anche interiore, esistenziale e affettiva”.
E ancora: “Noi dell’F.C. Juventus dobbiamo vincere sì, ma, giocando bene, rispettando le aspettative di 13 milioni di tifosi bianco neri”.
Il dottor Alessio Secco, responsabile dell’intera Area Comunicativa bianco nera – apprezzatissimo l’intervento del comunicologo juventino – ha spiegato che oggigiorno un club che si rispetti deve contare su un Ufficio Stampa organizzato e professionale al massimo:
“Fino a 5 anni fa” ha ricordato Secco “molti club di provincia non sapevano neanche quale importanza – anche sotto il profilo dell’Immagine oltre che della Comunicazione stessa – rivestisse quest’apparato, ormai fondamentale nell’era della Comunicazione Globale.
Noi dell’F.C. Juventus contiamo su 3 principali e fondamentali reparti:
1) quello della Stampa Sportiva,
2) quello della Stampa Istituzionale,
3) quello della Stampa Internazionale”.
Ancora Luciano Moggi ha detto che i dilettanti sono preziosi per il calcio professionistico.
Così pure anche il settore giovanile, vero serbatoio della specificità del “marchio Italia”.
A chi dalla sala – la redazione di pianeta-calcio.it – gli chiede di esprimere un suo parere sul fatto oggettivamente riscontrato, e cioè che nei settori giovanili professionistici di Hellas Verona, ChievoVerona e Mantova (Giovanissimi Nazionali o Regionali, Allievi Nazionali e Regionali, Primavera e Berretti) gli extra comunitari durano nello stesso club che li ha ingaggiati-ospitati sì e no 1-2 anni, per poi tornarsene in patria, magari delusi perchè si aspettavano tutto e subito dai nostri dirigenti e maestri italiani, Moggi si è detto contrario al razzismo spiccio, bell’e buono:
“C’è extra comunitario ed extra comunitario: un conto è che uno di questi ragazzi viva da anni, sia cresciuto cioè e radicato nel nostro Paese e territorio fin da piccolo, un altro che bisogna strapparlo dal suo territorio, dal suo contesto, dai suoi familiari e amici, per catapultarlo in un altro Paese, in cui potrebbe pagare… lo scotto della sua diversità culturale, etnica, confessionale…”.
ChievoVerona, ossia “la bella favola” di un calcio “tout court”, “naif”, fatto ancora di “pane e salame”, e l’Hellas Verona F.C., l’unico, vero esempio nella storia del calcio italiano dello scudetto vinto da una provinciale; anzi, dalla Provinciale per eccellenza (col Cagliari nel 1969-70 aveva vinto un Capoluogo di Regione, un’isola e una regione -la Sardegna – intera; Roma, Lazio e Fiorentina, invece, sono delle metropoli rispetto alla nostra Verona, pur quanto ammirata, popolosa e opulenta di tutto: ricchezze storiche, geografiche, turistico-alberghiere.
Non a caso la nostra splendida e invidiata da tutto il mondo città è stata classificata la 4^ città più bella d’Italia dopo la “Città eterna, Roma”, l’impareggiabile ed inimitabile Venezia, l’incantevole Firenze).
“Chievo” ha detto Moggi “è l’esempio di come si può ancora fare calcio in maniera razionale e attenta al risparmio.
Strada percorsa, se mi consentite, dalla mia Juventus da qualche anno a questa parte, anche se un grande club e una piazza esigente, abituata a vincere e dal palato fine come Torino ti richiede grossi e costosi campioni e ti rinfaccia, ti etichetta il 2° posto come il più clamoroso dei fallimenti.
I “gialloblù della diga” hanno la fortuna di contare su un ambiente e una struttura familiare, agile e dinamica, ricca di valori e di autenticità, guidato il Chievo com’è da due grandi personaggi e intenditori di calcio come il presidente Campedelli e il diesse Sartori.
Il Verona, invece, ha vinto uno scudetto con tanta bravura e, perchè no, con quel pizzico di fortuna che non guasta mai nel calcio: io, allora,guidavo il Toro, che arrivò 2° a 3-4 punti dal Verona.
Un grande club, sia esso Milan, Juve o Inter, se continua a vincere, noi dovremo riconoscergli l’organizzazione, la professionalità societaria, la ricerca del minimo dettaglio, l’ansia di non commettere il minimo errore, che potrebbe essere fatale ai fini del raggiungimento del massimo traguardo, perchè vincere – soprattutto in un campionato difficile, lungo e logorante come quello italiano non è assolutamente facile.
A noi , che non siamo antipatici a metà degli italiani, quando vinciamo i nostri tifosi e i nostri “avversari” ci rimproverano o ci ricordano di vincere più Coppe in Europa.
Ma, è difficile ogni anno cercare di conciliare i due prestigiosi obiettivi”.
Andrea Nocini 29-04-06 ore 9.22